Dimmi da cosa stai scappando: Le ferite originali di Eleonora C. Caruso
Titolo: Le ferite originali
Autore: Eleonora
C. Caruso
Data di
uscita: 23 gennaio 2018
Editore: Mondadori
Ho finora
tentato di non sciorinare i miei gusti più personali, le mie preferenze di
pancia e tutte quelle cose che gravitano attorno alla sfera emotiva. Poi ho
letto Le ferite originali di Eleonora C. Caruso e il miglior modo in cui sono
riuscita a consigliarlo ai miei amici è stato: “Hey vez, it’s our kind of stuff”, contando solo sul fatto che loro conoscono i miei gusti, le mie preferenze di pancia e anche tutte le cose che stanno nella mia teca di vetro delle emozioni (semi-citazione).
Quindi lo ammetto, sono un po’
in difficoltà. E lo sono perché la Caruso ha descritto alcuni di quei tormenti
che la mia generazione conosce fin troppo bene, perché ha gestito egregiamente
un personaggio con una malattia mentale di cui in molti contesti sociali è
ancora un tabù parlare, e perché gran parte della mia
allegra combriccola la conosceva già in quanto scrittrice di fanfiction, e questo ha riportato a galla i ricordi degli anni passati a scrivere dozzine e dozzine di storie basate
sulle serie più disparate. Mi sono comunque rimboccata le maniche per tentare di dire la mia su questo
romanzo (mettendoci un po’ di oggettività e un po’ di pancia, e poi vediamo che ne
viene fuori), sperando di non perdermi troppo nei miei stessi pensieri.
Milano
durante gli anni dell’Expo. Dafne è una studentessa di medicina, Davide un
brillante e timido studente del Politecnico e Dante un affascinante
quarantenne con una figlia piccola. Tre individui diversi le cui strade
non si sarebbero mai incrociate se non fosse per una sola
persona: Christian. Lui è un ex modello ventisettenne, bello, di una bellezza
che fa voltare i passanti per strada, che fa sentire chi gli sta a fianco
orgoglioso e invisibile allo stesso tempo. Non è solo bello, ma anche carismatico,
impetuoso, eccessivo. Riesce a fagocitare le menti di chi ha attorno, le cattura
e le blocca nella sua rete che talvolta non riesce a controllare. Soprattutto
perché vi è invischiato anche lui.
Nel corso degli anni quella rete è cambiata, si è ingigantita, anche se ha sempre portato lo stesso
nome: disturbo bipolare.
«Christian
somigliava a quei fiori. Non ti accorgevi di quant’era fragile, finché non lo
toccavi. Il verbo “stringere”, con lui, aveva un significato letterale: doveva
stringerlo come un bullone che si sta per allentare, come un nodo che potrebbe
sciogliersi.»
Questo
romanzo è interamente basato sulle relazioni di Christian e le sue tre D – Dafne, Davide e Dante– e sulle dinamiche che, in modo inevitabile, finiscono con il
nascere dalla collisione tra queste persone. Le loro sono storie di infelicità, ritratti dolorosi e accurati degli ostacoli mal superati e dei rimpianti.
L’autrice
lascia che i suoi protagonisti analizzino sé stessi, dai loro comportamenti impariamo a conoscere i loro turbamenti e i modi in cui li affrontano e, tassello dopo tassello, osserviamo l’immagine di queste interiorità frammentate. Dafne è il personaggio che ho letto con più
difficoltà; forte nelle pagine a lei dedicate è il timore per l’indeterminatezza
del futuro, la consapevolezza di essere in una condizione di stallo, nella quale
si sta crogiolando in attesa dell’arrivo di un cambiamento (che magari non
comporti sacrifici) che possa darle una serenità che pare non aver mai davvero provato.
«La verità è
che lei aveva sempre fatto così, aveva sempre accettato i consigli degli altri
dando per scontato che fossero giusti, che tutti fossero più intelligenti, più
furbi, più saggi di lei. Si era sempre giustificata. Aveva sempre dovuto
dimostrare di essere o non essere qualcosa.»
In contrapposizione a Dafne, ferma nel solito punto da anni, c'è Davide che è un ragazzo in perenne movimento. È scappato dal paesino
di montagna dal quale proviene per raggiungere Milano, dopo una fuga metaforica durata tutta una vita: quella da se stesso, dal suo corpo, dalle sue sensazioni
e dagli altri. Una corsa che lo ha portato a buttarsi nello studio per
estraniarsi e difendersi dal mondo. Infine c’è Dante che si pone un po’ a metà tra
lo stallo e la fuga: se la sua mente è incastrata in un doloroso evento del suo
passato e la sua vita incasellata in una routine frutto delle sue mancanze, in Christian trova un’evasione che dà origine a un rapporto torbido e
violento.
Le ferite originali parla anche di famiglia, di come certe scelte si facciano per compiacere i propri genitori, e altre per ribellarsi ad essi. Racconta di università, di come a volte i giovani rimangano schiacciati dai loro percorsi di studi e invece altre volte ne escano gratificati, e altre ancora finiscano dritti dietro il bancone di un fast-food:
«Ho un
master in Lingue e Relazioni Straniere, che in Italia è un po’ come avere un
master in Attaccati al Cazzo, ma questo mica lo sapevo.»
Ma ciò su cui davvero vorrei porre l'accento è come l'autrice abbia gestito il personaggio di Christian. Il modo in cui vengono narrate le sue manipolazioni, le manie, i suoi momenti di totale perdita della rotta è preciso e realistico, e non sfocia in patetismi o esagerazioni. Malgrado per gran parte del libro la sua "pazzia" (che lui chiama così, nonostante il suo psichiatra continui a negargli la soddisfazione di dirgli che è un pazzo) sembri destinata a non dargli tregua, addirittura a personificarsi e a consumarlo in maniera irrimediabile, l'autrice lascia comunque aperto uno spiraglio di speranza. La Caruso racconta una storia di dolore, di malattia mentale, senza sparare alla cieca contro i suoi stessi personaggi (e qualcuno lo dica a Hanya Yanagihara, vi prego), mostrando come talvolta si possa trovare conforto in luoghi improbabili. Descrive le emozioni con precisione e sensibilità, creando un equilibrio tra la crudezza dei momenti più dolorosi e la delicatezza di quelli più teneri. Fa un acuto uso della volgarità che non è mai gratuita e non stride all'interno del romanzo, cosa non da poco visto l'abuso che talvolta ne viene fatto solo per rendere gli scritti più, passatemi il termine, "trasgressivi" di quello che sono.
Una nota di merito va anche alla colonna sonora che accompagna tutto il libro e che, non solo ha fatto compagnia alle notti insonni in cui l'ho letto, ma comprende tanti brani che sono stati fedeli compagni dei miei più floridi anni di fanwriting.
Una nota di merito va anche alla colonna sonora che accompagna tutto il libro e che, non solo ha fatto compagnia alle notti insonni in cui l'ho letto, ma comprende tanti brani che sono stati fedeli compagni dei miei più floridi anni di fanwriting.
Quindi direi che sì, il libro mi è piaciuto. Sì, vez, dovresti proprio leggerlo, fidati.
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